Lo sguardo di RE:Lab al mondo dei Nudge.
Autore: Roberto Montanari
Figura 1: Scale che mostrano le calorie consumate per gradino. Fonte: Fotografia di AL.MA FOTOGRAFIA via Contemporist.com
Dopo aver frequentato a lungo il mondo dell’interazione, avvicinarsi al tema dei nudge (di cui diremo tra breve) fa un effetto bivalente. Da una parte, procura una genuina curiosità constatare come contesti disciplinari così lontani dal mondo del design – quali l’economia comportamentale e il mondo delle politiche pubbliche – possano restituire una complessa metodologia di progettazione; dall’altra, una malcelata invidia per come le indicazioni fornite da alcuni bias (errori cognitivi che nascono da percezioni errate o deformate) potrebbero, se usati in modo sistematico, orientare la progettazione. Si prenda, ad esempio, il cosiddetto bias dello status quo, che indica la resistenza degli individui al cambiamento, per cui si tende a mantenere le cose come stanno. Nel contesto dei nudge, questo bias richiama il cosiddetto valore del default, ossial’attribuzione di un ruolo estremamente rilevante affidato alla condizione iniziale in qualunque tipo di decisione. Nell’uso di uno strumento tecnologico, ad esempio, raramente si cambiano le condizioni inziali e qualora questo avvenga, in certi casi per errore, è al default (rubricato nella celebre espressione “rispristina le condizioni di fabbrica”) che ci si affida speranzosi. Il default è una leva progettuale essenziale, che permette di imprimere all’interfaccia un indirizzo, opzionando – come default appunto – la scelta più frequente, quella più sicura per l’utente, o quella che ha meno impatti ambientali (si pensi al bancomat che, quando chiede se si desidera o meno lo scontrino, indica come default – con l’aggiunta della locuzione “scelta più ecologica” – quella di non stamparlo).
Nell’introduzione di questo articolo non è stato spiegato ancora cosa sono i nudge. Questo inconsueto modo di iniziare ci porta per lo meno sulla buona strada e, come fosse esso stesso un nudge, accresce la curiosità di sapere come andrà a finire.
I nudge dunque. Si tratta di pungoli (questo significa in inglese “nudge”) che nell’ambito di un processo decisionale possono indirizzare il comportamento di una persona in una forma predicibile, senza imporla, e senza trascurare o travisare alcun aspetto della decisione. Ad esempio: se in un’interfaccia ho quattro opzioni che si escludono mutualmente, la posizione del default influenza la scelta degli utenti, molti dei quali propenderanno nel confermare quella scelta e non altre, specie se assieme alla descrizione della scelta di default viene riportato tra parentesi la dicitura “scelta consigliata”. Per avere un quadro complessivo del tema, il libro di riferimento è quello scritto da un economista, il premio Nobel Richard Thaler, e un politologo di fama mondiale, Cass Sunstein [1].
Quando servono i nudge
Quando servono i nudge? Ci sono almeno cinque condizioni in cui i nudge si potrebbero rivelare dei pungoli risolutivi: (i) quando è necessario incentivare una scelta; (ii) quando serve comprendere in modo chiaro la relazione tra un’azione e il suo effetto sul mondo circostante; (iii) quando serve indirizzare la scelta sulle condizioni inziali (default); (iv) quando si cerca di anticipare errori prevedibili; (v) infine, quando si cerca di orientare le persone in scelte complesse.
Tra i nudge nati per incentivare una scelta, uno dei più famosi è il target in forma di icona serigrafato sulla superficie interna degli orinatoi di alcuni grandi aeroporti: una candela, una mosca, in occasione dei mondiali di calcio è stata proposta anche la porta. Questo incentivo ha concorso ad incrementare l’igiene dei servizi pubblici, con effetti benefici sulla salute collettiva.
Tra i nudge che semplificano la capacità di un prodotto di mostrare efficacemente i suoi effetti concreti si possono menzionare ad esempio le scale che mostrano le calorie consumate per gradino o al termine (Fig.1); o ancora, e qui sfido chi ne fosse a conoscenza, la presenza di una piccola freccia posta a destra o sinistra dell’icona del distributore di benzina che si trova in prossimità dell’indicatore del livello carburante della macchina; questa freccia mostra dove si trova lo sportello per fare rifornimento, informazione essenziale quando approcciamo un distributore e dobbiamo decidere da che parte entrare (Fig.2).
Figura 2: Icona del distributore di benzina. Fonte: Ke Vin via Unsplash
Sul potere del default si è detto sopra, ma gli esempi potrebbero continuare: il rinnovo di un programma assicurativo annuale (che trova frequentemente il plauso degli utenti quando propone la riconferma di quello precedente); l’auto-rinnovo (a pagamento) di un servizio dopo la fase gratuita, oltre al già citato ripristino alle condizioni di fabbrica.
Anche nel limitare errori prevedibili ma insidiosi da rimuovere i nudge possono restituire la loro utilità. È il caso, ad esempio, delle indicazioni poste nelle zone di attraversamento pedonale nel Regno Unito (Fig.3) per indicare ai pedoni – specie quelli non pratici – dove guardare, oppure le indicazioni messe in bella evidenza nella fotocopiatrice per non farci dimenticare il fascicolo dopo averlo copiato.
Fig.3: Indicazioni stradali a terra in Inghilterra. Fonte: Sebastiaan Stam via Unsplash
Più complesso è il supporto dei nudge alle scelte complesse. Tra queste, un buon esempio è la possibilità di valutare un acquisto (esempio il carburante) in base alla comparazione del valore dei prezzi cui i diversi distributori vendono nella zona. In diversi stati le leggi impongono la comparazione, sia per il prezzo del carburante, sia per quello dei consumi elettrici o altri servizi a mercato di interesse pubblico, (Fig.4). Sono nati diversi supporti che presentano i prezzi affiancati l’uno all’altro; appare evidente la difficoltà di un discrimine viste la compresenza di tanti dati. Un nudge utile ad orientare questa scelta è quello, presente in alcuni casi, di dare una particolare evidenza al costo più basso.
Fig. 4: Tabella comparativa dei prezzi del carburante. Fonte: Qui Finanza
Una riflessione sui nudge
Difficile dire se i nudge siano l’espressione di un corpo teorico compatto o, piuttosto, di una serie di accorgimenti progettuali empiricamente fondati. Indubbiamente, il debito verso il lavoro scientifico di Kahneman e Tversky nel campo della psicologia delle decisioni è elevato. E in modo particolare, gli studi dei due autori sulla capacità di decidere in modo rapido e intuitivo dinanzi a situazioni complesse che si affrontano nella vita di tutti i giorni. Da queste ricerche è emerso come le strategie mentali adottate per fronteggiare queste situazioni, diverse da quelle in cui ci si prende il tempo per valutazioni più ponderate, sono esposte a errori sistematici (i sopra citati bias). I bias sono sostanzialmente ricorrenti al punto che uno studioso di decisioni, Daniel Ariely, ha felicemente intitolato il suo libro “prevedibilmente irrazionale” [2].
Tra questi: il bias di conferma, che ci porta a trovare più rapidamente ragioni a sostengo delle nostre convenzioni; o il bias di ancoraggio, che ci aggancia ad un riferimento, quale che sia, influenzando la nostra scelta e mantenendola prossimale a quel riferimento (se ad esempio in una serata organizzata per raccogliere fondi si stabilisce una cifra base, è molto probabile che le offerte siano ancorate, appunto, a quel valore). La ricerca ha identificato molti bias (qui trovate una buona sintesi).
Considerando che, secondo alcune stime, il 95% delle nostre decisioni quotidiane maturano in condizioni di rapidità e in carenza di informazioni, ne deriva che la maggior parte di queste decisioni sono esposte a bias di cui i nudge possono costituire una sorta di argine indicativo e non prescrittivo od obbligatorio.
Questo punto indubbiamente di forza costituisce anche il nodo critico su cui è maturato un certo dibattito proprio sui nudge. Infatti, se è vero che i nudge orientano le scelte, facendo leva su alcuni limiti nella nostra razionalità, allora (parafrasando Herbert Simon) chi progetta i nudge potrebbe finire con l’influenzare le scelte, eventualmente condizionandole. La proposta di Thaler e Sunstein, a tal proposito, è che i nudge debbano promuovere quello che definiscono paternalismo libertario: da una parte, suggerire una scelta senza alterare prescrittivamente il contesto della decisione (mantenendo ad esempio in evidenza le opzioni diverse); dall’altra parte, tutelare sempre l’interesse collettivo.
Quali che siano le ragioni e i torti di un dibattito che va ben oltre questo articolo, resta il fatto che i nudge sono formidabili pungoli in grado di supportare la progettazione di soluzioni molto diverse in contesti nei quali è richiesta l’interazione e la scelta da parte di un utente, a prescindere dal fatto che si parli di politiche pubbliche (ad esempio le operazioni per incentivare la donazione degli organi o pagare le tasse) o di interfacce in cui è pre-selezionata l’opzione più ecologica tra stampare o meno la ricevuta [4].
[1] Richard H.Thaler, Cass R. Sunstein, Nudge. La spinta gentile, Feltrinelli, Milano 2014
[2] Dan Ariely, Prevedibilmente irrazionale. Le forze nascoste che influenzano le nostre decisioni, Rizzoli, 2008
[3] Daniel Kahneman, Pensieri lenti e veloci. Oscar Mondadori ed, Milano 2020
[4] Riccardo Viale, Oltre il nudge. Libertà di scelta, felicità e comportamento, Ed. Il Mulino, Bologna, 2018
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